"Proposi a Duchamp di andare a prendere l’apparecchio fotografico, che non avevo mai portato fuori dallo studio, per fotografare il suo vetro, come gli avevo offerto fin dalla prima visita.
Avevo già notato che il pannello di Duchamp era illuminato da un’unica, nuda lampadina, ma sapevo per esperienza che la cosa non aveva importanza quando si trattava di fotografare un oggetto immobile. Fissando stabilmente la macchina sul suo cavalletto, con un tempo di esposizione sufficientemente lungo, il risultato sarebbe stato soddisfacente.
Mentre fissavo l’obiettivo, il pannello, visto dall’alto, sembrava uno strano paesaggio. Era polveroso e qua e là i residui sfilacciati di stoffa e bambagia usate per pulire le parti ultimate gli davano un sapore di più profondo mistero. Il mistero, pensai, ecco il vero regno di Duchamp.
L’esposizione doveva essere molto lunga; aprii dunque l’otturatore e uscimmo a mangiare qualcosa. Dopo un’ora circa tornai a chiuderlo e mi precipitai nel mio scantinato per sviluppare subito la lastra. Era un lavoro che facevo sempre di notte, non avendo una camera oscura. Il negativo era perfetto. Potevo confidare nella riuscita di qualsiasi futura commissione.”
Intitolò la fotografia Elévage de Poussière (Allevamento di polvere).
Elévage de Poussière (Allevamento di polvere) - Man Ray |