Le numerose e noiose polemiche sul premio Pesaresi vinto dal giovane fotografo Giorgio Di Noto, hanno distratto dalla bellezza del suo lavoro di riproduzione delle immagini di guerra.
Scopriamolo senza cadere nella trappola del "falso reportage".
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Spieghiamo prima di tutto di cosa stiamo parlando.
Il Si Fest di Savignano sul Rubicone ha scelto "The Arab Revolt" di Giorgio Di Noto come portfolio vincitore del Premio Pesaresi 2012. Il premio è dedicato al fotografo riminese Marco Pesaresi, scomparso nel 2001. Forse molti hanno dato per scontato che Pesaresi fosse un fotoreporter di guerra (il video con una sua intervista), così non è. Ha affrontato in modo molto personale i problemi dell’immigrazione, dell’emarginazione e della prostituzione, ha sondato gli effetti del consumismo nelle metropoli e nelle abitudini delle persone. Ritratti intimi delle pieghe oscure della società, come il delicatissimo e struggente dipinto della sua Rimini.
La rivolta araba di Di Noto ha lo stesso sguardo attento diretto agli effetti sulle persone dei fatti del mondo. La particolarità (molto contestata) è che non ci presenta foto "scattate sul campo", piuttosto realizzate con una polaroid di fronte ad uno schermo, durante i frequenti resoconti visivi dai teatri di guerra.
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
E' comodo fotografare la guerra dallo schermo di un televisore, come è altrettanto comodo guardarla e commentarla come fanno politologi e giornalisti tramite i giri di agenzia e il circuito delle notizie. Tutti questi gradi di separazione dalla contingenza dell'evento aiuta sì a mantenere un livello di analisi più freddo ma al contempo impedisce di cogliere gli effetti umani della vicenda.
La "vicenda", quella spaventosamente drammatica è invece la materia che raccontano i reporter di guerra, giornalisti e fotografi. La cosa che ha fatto infuriare i più è il pretesto di considerarlo come un'opera reportagistica. La scelta è stata dunque vista come un insulto verso il loro lavoro di chi si sporca le mani (e le lenti) e si insanguina negli scenari di guerra.
Un processo alle intenzioni diventato fuorviante e ingiusto, ma in rete si sa, le voci corrono spesso animose e il tam tam si alimenta come un animale che scalcia inferocito e incapace di cogliere le sfumature dei fili d'erba che calpesta.
Il lavoro di Di Noto non si fonda sulla pretesa di essere un reportage, è stupido assegnargli questa colpa (era stupido anche il mio sbuffo) e continuarne a parlare rischia di avvitarci in quel giro di discorsi autoreferenziali e intellettualistici dove spesso i critici rimangono impantanati e si parlano addosso, finendo per lamentarsi sempre di qualcosa che non c'entra niente.
The Arab Revolt è un lavoro di riproduzione che si interroga sulla comunicazione e su come viene raccontata la guerra. La fotografia E', per sua natura, riproduzione e qui esalta la riproduzione di una riproduzione.
La guerra esiste solo se la si racconta e dunque la si riproduce. Più sono i passaggi di riproduzione, maggiore il numero degli strati che si sovrappongono, maggiormente opachi risulteranno i fatti.
Perciò si tratta di un lavoro sulla comunicazione, offuscando i soggetti, i fatti, si evidenzia il linguaggio.
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Di Noto esegue il suo lavoro con intelligenza, sfruttando immagini simboliche, che definirei quasi prevedibili. Ma la loro prevedibilità diventa funzionale al messaggio che vuole far passare. Tutto quell'immaginario di guerra che già tristemente conosciamo o che ci aspettiamo già di vedere e che piano piano ogni giorno si consuma e diviene meno efficace.
La guerra per immagini è esattamente come l'ha ritratta, anzi riprodotta, Giorgio Di Noto.
Anche da un punto di vista estetico si tratta di un lavoro curato e pensato, ammorbidito dalle leggere sfocature delle polaroid, distaccato, con tutti i livelli che frappone, in fondo l'autore è lontanissimo dal luogo dove si svolge l'azione e non finge di esserci.
Risulta paradossalmente bello da vedere. Questo dovrebbe farci riflettere ancora di più sul senso delle immagini.
Non stiamo guardando un resoconto di guerra ma un'analisi su come quel resoconto si insinua dentro di noi e va a costruire quel castello di luoghi comuni, strutture e conoscenze che ci fanno categorizzare quella come LA guerra. Una sorta di "piacevole" e "comodo" incasellamento per renderci le cose più facili, che mobilita quell'alibi che ogni volta ci fa leggere velocemente la realtà e dunque re-introdurla nella casella con sù scritto "guerra", utile a non far più riflettere su cosa si tratti veramente. Una strategia psicologica inconsapevole per faticare di meno e che la televisione e i giornali alimentano costantemente.
Se per un momento si superano le noiose polemiche alimentate da blogger e social network sulle ragioni del premio, si scopre che si tratta di un bellissimo lavoro, esteticamente elegante e sofisticato. Le polemiche, poi si sa, son così capaci di attirare l'attenzione e contemporaneamente di distrarla lontano dalla verità.
Merita dare un'occhiata anche agli altri portfolio di Giorgio Di Noto sul suo sito personale.
Suggerisco la lettura della lucida analisi di Renata Ferri su Il Post e di Michele Smargiassi su Fotocrazia, che discutono attorno alla polemica.
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Giorgio Di Noto - The Arab Revolt |
Caro Sandro, non so se sono anch’io un “animale che scalcia inferocito e incapace di cogliere le sfumature dei fili d'erba che calpesta”, forse sono solo un “blogger noioso”, ma c’è qualcosa che sicuramente non è stato colto in questa discussione su Di Noto, benché sia stata ripetuta questa sì fino alla noia, e cioè che non era in discussione il giudizio sul lavoro di Di Noto ma la scelta di assegnare un premio di fotogiornalismo a quello che tu stesso definisci come appartenente ad altro genere di lavoro visuale. Se anche per te “Il lavoro di Di Noto non si fonda sulla pretesa di essere un reportage” ed “ è stupido assegnargli questa colpa”, come giudichi il fatto di assegnargli nessuna colpa ma al contrario un premio di reportage?
RispondiEliminaFrancamente non credo si colga il punto. Stabilire, col peso di un premio, che il miglior fotogiornalismo a disposizione è un’operazione di riflessione mediale e meta-visuale, un lavoro di ri-mediazione concettuale, che presenta ben poche caratteristiche del lavoro giornalistico e non le vuole neppure presentare, significa avere una idea radicalmente pessimista sulla sopravvivenza del fotogiornalismo come lo abbiamo finora conosciuto, e promuovere con un certo piglio postmodernista, a mio parere già vecchio pure quello, che la sola “attenzione al mondo” possibile oggi attraverso la fotografia sia di secondo grado, simulacrale, autoreferenziale.
Ecco, io ho sostenuto che questa opinione, legittima, può anche essere promossa con l’assegnazione di un premio-provocazione, ma poi bisogna andare avanti, rivendicare con coraggio lo strappo, dire che il genere “fotogiornalismo” è finito, oppure va ridefinito radicalmente, comunque assumersi la responsabilità di un giudizio che non è più sul valore delle singole opere in concorso ma su un intero storico genere di lavoro fotografico. Cosa che la giuria non ha fatto, né nelle motivazioni, che potrebbero benissimo calzare a un reportage tradizionale, né dopo, quando in diversi, e abbastanza in sintonia pur non essendoci messi d’accordo, abbiamo aperto la discussione sull’argomento.
Comunque ti ringrazio per la citazione e l’apprezzamento, credo che tutti questi ragionamenti incrociati vengano utilizzati dal SiFest o da altri come un’occasione per allargare l’orizzonte del dibattito, un caro saluto, m.
Grazie Michele del tuo commento (son contentissimo che leggi il mio blog, non aspiravo ad averti come lettore), le critiche alle discussioni in "rete" non erano ovviamente rivolte a te, anzi in fondo all'articolo cito la tua analisi e quella di Renata Ferri come validi contributi per comprendere la questione che gira attorno alle ragioni (o non ragioni) del premio. Mi dispiace anzi che il mio articolo possa essere visto come polemico nei tuoi confronti, non era nei suoi (miei) propositi. Sull'assegnazione del premio infatti mi trovi d'accordo (lo avevo espresso anche in un commento sul tuo blog) e proprio per non ripetere le stesse cose ho preferito dedicare l'attenzione alle fotografie in sé e cercare di cogliere quello che c'è di bello nel lavoro di questo giovane fotografo che si è ritrovato al centro di un casus belli e tentando di non evocare lo spettro del fotogiornalismo.
RispondiEliminaMi dispiaceva che si parlasse moltissimo attorno al suo lavoro ma poco delle sue qualità, seppure velate da un'erronea impostazione di lettura che il premio ci ha costretto a adottare. Con il tuo commento sei entrato assolutamente nel merito e credo che Di Noto, se mai leggerà, potrà trarre spunti per portare la sua riflessione su ancor più profondi livelli.
Sai, io mi sento coinvolto dal lato del fotografo più che da quello del critico :-) Sentivo il dovere di "difenderlo" dal caos che girava attorno, cercando di riportare l'attenzione sulle fotografie stesse e lasciando un po' da parte le polemiche.
un caro saluto anche a te.
Caro Sandro,
RispondiEliminati ha già risposto perfettamente Michele e tu gli hai già fatto omaggio della sua estraneità alle tue parole, per cui non mi resta che dirti che se non ti conoscessi di persona, ti avrei davvero male interpretato. Non vedo infatti nulla di noioso in una serie di interventi di diversa opinione, semmai colgo con piacere un risveglio dal torpore eccessivo in cui versa il dibattito sulla fotografia in Italia, Ben venga allora questo tipo di noia!
Fermo restando il merito del lavoro di Di Noto, che ho fin da subito rilevato anche se non lo esagererei perché mi pare valido soprattutto in relazione alla sua giovane età, la vera questione rimane l'aver assegnato a lui quel premio. Punto.
Vedo che chi di mestiere fa il fotoreporter, o almeno continua a distinguerne i caratteri specifici dal resto del fare fotografie, tende a capire il problema, mentre chi fa fotografie per altri motivi tende a non vederlo e soprattutto a non coglierne le conseguenze per il settore in questione.
In ogni caso, anche il tuo contributo, come altri che stanno uscendo nel frattempo, finiranno per trasmettere curiosità sul lavoro di Di Noto e gli porteranno evidenza, risarcendolo così nei fatti della critica che, ripeto, non lo riguarda nei contenuti, ma solo nell'opportunità di fargli vincere un premio riservato a dei fotoreporter (non solo di guerra: chi mai l'ha scritto?).
Ti saluto Sandro e alla prossima.
Mi sorprende un po' il tuo commento, Fulvio.
RispondiEliminaA me non piace la polemica e anche da quello che ho scritto mi sembra che risulti evidente. In questo blog tratto raramente argomenti di attualità e cerco di tenermi lontano dalla contingenza dei giudizi, non mi annoiano interventi diversi (anche se scorgo poca varietà), mi annoia la polemica (sì, per me è noiosa, sopratutto quando assume caratteri da "rivolta di massa"), la trovo spesso strumentale, incattivisce gli animi, di rado è intellettualmente onesta ed è fin troppo legata ad un preciso momento storico, quindi per me lontana dalla comprensione del quadro complessivo.
Non si tratta di negare la libertà di intervenire in maniera diversa, non è questo il punto, nessuno censura nessuno e non son certo intollerante alle opinioni diverse. Provo solo un certo fastidio di fronte alla polemica che "gira attorno" e che normalmente non viene mai da sola ma si accompagna (se non genera) una serie di commenti e fronde di militanti che trovano terreno fertile nei social network o in rete in generale.
Per questo non vorrei che venisse esportata anche qui, come ho scritto (e ho ripetuto), le ragioni del premio sono state discusse e ri-discusse, ho voluto solo citarle cercando di non perdermi in quanto è stato scritto già da altri e dunque perché non andare oltre? Mi sembra ormai chiaro il messaggio.
"Vedo che chi di mestiere fa il fotoreporter, o almeno continua a distinguerne i caratteri specifici dal resto del fare fotografie, tende a capire il problema, mentre chi fa fotografie per altri motivi tende a non vederlo"
Non voglio ritornare sulle motivazioni del premio ricevuto, per me il lavoro di Di Noto si interroga sul tema della comunicazione e riproduzione più che della documentazione giornalistica, vive quindi su un terreno parallelo. Capisco invece molto bene l'intromissione scaturita dall'infondere nel lavoro di Di Noto prerogative che non ha.
"..premio riservato a dei fotoreporter (non solo di guerra: chi mai l'ha scritto?).". Non l'ho scritto nemmeno io, ho solo dato qualche indizio su Marco Pesaresi, piuttosto estraneo agli scenari di guerra.
un saluto e alla prossima.
Non mi rispondi a tono Sandro, secondo me. Rispetto tuttavia la tua volontà di preservare questo spazio dalle polemiche e quindi non spingo oltre le mie considerazioni. Una sola cosa: non vedo nessuna "intromissione scaturita dall'infondere nel lavoro di Di Noto prerogative che non ha". Vedo solo un giovane autore che presenta un suo lavoro "sul tema della comunicazione e riproduzione più che della documentazione giornalistica" ad un premio per fotoreporter e una giuria che gli concede i 5.000 euro di premio con motivazioni che nulla dicono su questo punto. Ora andiamo pure oltre...
RispondiEliminami intrometto osservando: concettualmente l'operazione non ha un gran valore(vedi McLuhan per primo)quindi risulta stantia, direi vecchia, per un giovane di 22 anni. per rispetto ad altri valenti e talentuosi fotografi della stessa età che prendono e partono per cercare di documentare la realtà degli eventi nei luoghi dove si manifesta, dare un premio di quel tipo per un lavoro del genere(abbastanza interessante solo dal punto di vista di resa estetica) da sicuramente un cattivo esempio ad altri giovani che pensano di intrapendere il lavoro di fotoreporter.
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