lunedì 20 giugno 2011

la Camera Oscura

testo di Rosa Perilli

La scoperta della fotografia, figlia di una mentalità scientifica, di una serie di ricerche in campo artistico e di una situazione sociale matura, è stato uno dei fattori determinanti nella trasformazione dell’arte. La sua nascita si deve agli sforzi di quei ricercatori che, nel perdurare dei secoli, hanno continuato a studiare e ad inventare strumenti in grado di fornire un’immagine perfettamente fedele al reale.

La creazione artistica, il ruolo che l’artista riveste o le disposizioni che fanno nascere il suo talento sono mutevoli in ogni società e ogni epoca storica. E’ solo in quelle civiltà in cui si conferisce all’opera d’arte un valore autonomo, che si verificano le  prerogative che permettono la valorizzazione del prodotto artistico e del suo creatore. Obiettivo dell’arte sin dall’antica Grecia è stato la ricerca della perfetta imitazione. La valutazione dell’opera è sempre dipesa dal suo confronto con la natura e le biografie degli artisti di tutte le epoche sono ricche di aneddoti che fanno notare la loro bravura nel riprodurre la realtà in forma riconoscibile [1].

Camera obscura


Da Duride, biografo greco del IV secolo a.C., ci giunge il racconto sul pittore Zeusi intento a mostrare a Parrasio, suo collega, un quadro appena terminato rappresentante un grappolo d’uva, la perfezione dell’esecuzione trae in inganno dei passeri lì vicino che tentano di beccarne gli acini. La nostra letteratura è ricca di racconti simili, tutti derivanti da topoi greci, dall’agnello di San Giovanni Battista dipinto da Tiziano che suscita i belati di una pecora, alla mosca disegnata da Giotto sulla tela del maestro che gabbato tenta di scacciarla [2].

La base della continuità stilistica tra pittura e fotografia sta nella capacità di quest’ultima di soddisfare al meglio la richiesta di realismo che la cultura figurativa dell’epoca esigeva, utilizzando per di più uno strumento, simbolo del progresso scientifico.
La fotografia nasce nell’ambito artistico quale naturale sviluppo della camera oscura.

I primi ad avvicinarsi a quest’arte furono pittori e operatori che, vantando di una cultura accademica, si servivano delle regole della composizione, della posa, della luce e del taglio dei grandi maestri di pittura del passato.
Il principio della camera oscura era conosciuto fin dall’antichità; nella cultura cinese se ne cominciò a parlare già nel IV sec a.C. e Aristotele ne aveva analizzato il principio fisico nei Problemata [3] osservando che, i raggi del sole, passando attraverso un foro, formano sul piano un’immagine.

Inizialmente la camera oscura veniva utilizzata soprattutto per l’osservazione delle eclissi, ma, nel Quattrocento, l’invenzione della prospettiva aveva aperto nuovi campi d’indagine, trasformandola in uno strumento per il disegnatore. Nel trattato De Pittura del 1435, Leon Battista Alberti, descrivendo il sistema prospettico inventato da Brunelleschi, aveva accennato ad immagini, “miracoli di pittura”, che, con molta probabilità, erano state ottenute da una camera oscura.

Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico [4] fece una dettagliata descrizione della camera oscura mettendola in relazione diretta con il funzionamento dell’occhio umano, ma fu grazie allo scritto di Giovan Battista Della Porta, Magiae naturalis; sive, De miraculis rerum naturalium del 1553 che divenne nota ad un vasto pubblico. Il testo di Della Porta è fondamentale perché considera, per la prima volta, la camera oscura come uno strumento per i pittori e suggerisce di usarla per tracciare facilmente e con maggior precisione le linee e le forme alle quali aggiungere in seguito i colori. Le successive migliorie tecniche come l’utilizzo di uno specchio concavo, l’uso di lenti e del diaframma, così come l’invenzione di modelli trasportabili, determinarono il definitivo successo della camera oscura che divenne a tutti gli effetti uno strumento dell’artista [5].

Diego Velazquez - Las meninas

Giulio Mancini nelle Considerazioni sulla pittura del 1617-1620 descriveva lo studio di Michelangelo Merisi come una stanza nera, senza luce esterna; Roberto Longhi, nella biografia sul Caravaggio [6] del 1952, partendo dalle fonti fornite da Giulio Mancini, suggerì una certa somiglianza tra la stanza da lavoro dell’artista e il principio della camera oscura. La passione del Merisi per i fenomeni ottici era testimoniata inoltre dalla presenza nel suo laboratorio di lenti, specchi e di un foro sul soffitto, che serviva a diffondere la luce dall’alto. Questo suo interesse venne certamente stimolato durante il soggiorno presso l’abitazione del Cardinal Del Monte, ma anche dai suoi legami con l’ambiente fiorentino e galileiano e dagli studi di Leonardo da Vinci sulle sorgenti luminose e sui fenomeni ottici, che sicuramente aveva avuto modo di conoscere nel corso della sua formazione lombarda [7].

Diego Velázquez in Las Meninas [8]  utilizza la camera oscura; ne sono indizi la volumetria con cui analizza lo spazio e il “circolo di confusione” che i punti di luce formano sul vestito dell’Infanta. Il circolo di confusione è il più piccolo cerchio che l'occhio umano riesce a distinguere ad una determinata distanza. Tutti i fasci luminosi proiettati da una sorgente che attraversano una lente, vengono rifratti per ricongiungersi in un punto sull'asse ottico chiamato punto focale. Perpendicolare a questo si trova il piano focale. Su questo piano l'immagine appare nitida perché ricostruita come punti, mentre spostamenti lungo l'asse ottico a destra o sinistra provocano l'espansione del punto in un piccolo cerchio o circolo di confusione [9]. Questo fenomeno non è facilmente percepibile a occhio nudo, ma si ottiene guardando attraverso il sistema ottico della camera oscura. Analogamente Jan Vermeer utilizzò questo strumento per la Ragazza col cappello rosso [10] della National Gallery di Washington, dipingendo lo sfocato e i circoli di confusione formati dalle luci alte.

Jan Vermeer - Ragazza con cappello rosso

Nel Settecento e nell'Ottocento l’uso della camera oscura è ormai sistematico, al punto da venir ostentata negli autoritratti e nelle scene di studio come indizio di gusto e scelta stilistica.

Il paesaggio fu il genere che ne fece maggiormente utilizzo, basti pensare alle tele del Canaletto, di Bernardo Bellotto, Francesco Guardi, Joshua Reynolds e tanti altri. La diffusione della camera oscura però, non risolveva la difficoltà di fissare con la matita ciò che l’occhio vedeva, per questo fiorirono studi tesi a ridurre al minimo l’intervento manuale, studi che si avvalevano delle più recenti scoperte chimiche e fisiche e che portarono alla nascita della fotografia, ossia alla capacità di produrre e fissare fedelmente un’immagine ottenuta attraverso l’azione della luce [11].

Canaletto - Piazza San Marco

Andrè Bazin fa risalire l’origine delle arti al “complesso della mummia”, ovvero, a quell’esigenza di fissare artificialmente le sembianze umane per sottrarle alla morte e l’oblio [12]:

« Se la storia delle arti plastiche non è soltanto quella della loro estetica ma innanzi tutto della loro psicologia, allora essa è essenzialmente quella della rassomiglianza e, se si vuole, del realismo. La fotografia e il cinema situati in queste prospettive sociologiche spiegherebbero in modo del tutto naturale la grande crisi spirituale e tecnica della pittura moderna che ha inizio verso la metà del secolo scorso » [13].

« Assumendosi il compito della rappresentazione realistica, sino allora monopolio della pittura, la fotografia lasciò libera quest’arte di seguire la sua grande vocazione modernista cioè l’astrazione » [14].



[1] Cfr. Rudolf e Margot Wittkower, Nati sotto Saturno, Einaudi, Torino 1968, pp. 10-12
[2] Cfr. Ernst Kris e Otto Kurz, La leggenda dell’artista, Bollati Boringhieri editore, Torino 1980, pp. 61-63
[3] Il problemata xxx in cui è analizzato il fenomeno ottico sopra descritto è un piccolo opuscolo medico-scientifico dall’attribuzione incerta, inscrivibile comunque nella cerchia aristotelica
[4] Cfr. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico. Vol. D, fol.8, Biblioteca Nazionale di Parigi
[5] Cfr. Sebastiano Porretta, L’occhio e l’obiettivo: chi influenza chi? In Silvia Bordini (a cura di) L’occhio, la mano e la macchina,  Lithos, Roma 1999, pp. 111-114
[6] Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 2006
[7] Cfr. Roberta Lapucci, Caravaggio e L’ottica: aggiornamenti e riflessioni, in L. Spezzaferro (a cura di) Atti del convegno: Caravaggio e l’Europa, l’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Cinisello Balsamo, Silvana, 2009, pp.59-68
[8] Diego Velasquez, Las Meninas, 1656/57, Olio su tela, Madrid, Museo del Prado
[9] Cfr. Giulio Forti, Fotografia,. Teoria e pratica della reflex, Editrice Reflex, Roma, 2003, p. 118
[10] Jan Vermeer, Ragazza col cappello rosso, 1666/67, Olio su tavola, Washington, National Gallery of Art, Andrew W. Mellon Collection
[11] Cfr. Sebastiano Porretta, L’occhio e l’obiettivo: chi influenza chi? In Silvia Bordini (a cura di) L’occhio, la mano e la macchina,  Lithos, Roma 1999,pp. 115-117
[12] Cfr. Andrè Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti Editore, Milano 1973, p.3
[13] Cit. Andrè Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti Editore, Milano 1973, p.4
[14] Cit. Susan Sontang, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 2004, p.82

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