Gregory Crewdson ci racconta il lato oscuro del sogno americano, le ferite nascoste e le inquietudini in bellissime fotografie che richiamano i quadri di Edward Hopper.
Ogni cosa rimane compressa in una prigione ovattata di apparenze.
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"In a Lonely place" è un film noir degli anni '50 con Humprey Bogart, che ha profondamente ispirato l'ultima fatica fotografica di Crewdson e rappresenta il luogo perfetto dove commettere un crimine.
"I was born when she kissed me.
I died when she left me.
I lived a few weeks while she loved me."
(Dixon Steel - In a lonely place)
L'atmosfera che avvolge le monumentali "tele" di Crewdson rende la scenografia misteriosa e gli attori come delle apparizioni inquiete, reduci da chissà quali tragedie. Sono dei sopravvissuti che riportano, o nascondono, le ferite delle loro vite senza una manifestazione chiara delle loro esperienze. Ogni cosa rimane compressa in una prigione ovattata di apparenze.
photo by Gregory Crewdson |
La delicatezza del tratto di Edward Hopper, cui Gregory Crewdson si ispira palesemente, trascende una condizione del mal di vivere espressa con una maggiore interazione col paesaggio e realismo dovuto in parte all'estetica stessa imposta dallo strumento fotografico e in parte alla cura spasmodica del particolare, con l'aiuto di folto gruppo di assistenti e ingenti risorse.
Nel complesso della serie si scopre l'artificiosità della costruzione, perfetta e manipolata, senza sbavature, con illuminazioni cinematografiche che frappongono una distanza nell'immedesimazione dello spettatore, ricordandoci che stiamo assistendo ad una narrazione scenica, forzata e simbolica.
L'inquietudine e il tocco delicato della malinconia che si espande dai quadri di Hopper si tramuta in Crewdson in un distacco ancora maggiore tra ciò che si vede e ciò che si agita sotto la superficie.
I suoi soggetti recuperano i miti dei film hollywoodiani, giocando con metafore delle paure e desideri.
Edward Hopper |
photo by Gregory Crewdson |
Le immagini sono tratte dallo straordinario "Underneath the roses". Tuttavia da vedere anche il lavoro sulle scenografie di Cinecittà a Roma in "Sanctuary" o il più vecchio "Fireflies", forse la serie meno appariscente ma che adoro moltissimo.
photo by Gregory Crewdson |
AA photo by Gregory Crewdson |
photo by Gregory Crewdson |
photo by Gregory Crewdson |
photo by Gregory Crewdson |
lo conoscevo come "beneath the roses"...
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