Trovo assolutamente perfetto questo scritto di Ferdinando Scianna, che con la sua colta e chiarissima dialettica discute di un punto fondamentale dell'approccio fotografico.
Quando si fotografa si fa d'istinto o in base ad una metodologia?
Questa domanda se la pongono tutti coloro che si avvicinano alla fotografia. Rispondere non è facile, sentiamo cosa dice uno dei più grandi fotografi italiani, Ferdinando Scianna, che ha risposto a questa domanda posta da un gruppo di studenti del SUPSI di Lugano il 21 febbraio 2003.
La mia fotografia è di ascendenza teorica e pratica bressoniana: un gioco dell'istante colto mentre accade, una specie di corrida con il destino.
Il mondo scorre nel caos delle sue implicazioni, e tu fai la scommessa di catturare attraverso la macchina fotografia un istante che abbia senso, sia narrativo che formale. In questo tipo di fotografia - non sto parlando del meditato 'still life' in studio, nel quale puoi calcolare ogni elemento, ogni distanza, ogni equilibrio di luce - ti scontri con continui mutamenti di spazio, di senso, con la luce stessa mentre cambia. Non puoi dire, davanti ad un evento storicamente rimarchevole o anche un piccolo gesto della vita quotidiana: "Sia gentile, lo ripeta nel pomeriggio, perchè quella luce la preferisco". Te la giochi, nel senso che devi saper vedere e sviluppare una maniera di fare di necessità virtù, che è proprio la specificità tecnico-estetica di questo tipo di fotografia.
E' una fotografia che implica una sorta di allenamento, di ammaestramento a cogliere l'istante. Se si tratta di dare, come diceva Cartien-Bresson, una risposta nel momento stesso in cui la domanda ti viene posta, è molto difficile valutare i pro e i contro, fare un'analisi meditata sul tipo di risposta da dare: la dai subito e la dai istintivamente. Ma anche quest'istinto, che preferisco chiamare intuizione, più nobile, forse, dell'istinto puramente animale, si esercita, si allena, si affina.
Una pratica fotografica come la nostra, che giostra con l'istante e si serve dell'intuizione come uno degli strumenti fondamentali, implica una grande quantità di errori, perchè è qualche cosa di molto vicino al gioco psicanalitico: "Io ti dico una parola e tu mi rispondi con la prima cosa che ti viene in mente"; qualche volta dici delle cose che sono rivelatrici; ma nella maggior parte dei casi dici delle stupidaggini.
Così, moltissime di queste risposte sono sbagliate. Una foto sbagliata, diversamente da un disegno, non si può correggere, se ne può fare un'altra, ma quella lì è sbagliata. Si tratta quindi di allenarsi ad avere fortuna, un po' come nella metafora zen del pittore che deve disegnare il più bel granchio che sia mai stato disegnato, per le nozze della figlia dell'imperatore; non può fallire, ne va della sua testa.
Ebbene, lui per un anno vive con i granchi, li guarda. Non fa nessun disegno, però diventa quasi un granchio, si identifica con loro e in un certo senso medita anche sul suo ruolo di pittore che dovrà disegnare un granchio. Nel momento in cui si mette al lavoro, in un solo gesto ne fa uno magnifico.
Il mestiere del fotografo è una cosa di questo tipo: allenarsi a saper rispondere istantaneamente a delle domande che istantaneamente ti vengono poste. Insomma, una preparatissima innocenza.
Quando si fotografa si fa d'istinto o in base ad una metodologia?
Questa domanda se la pongono tutti coloro che si avvicinano alla fotografia. Rispondere non è facile, sentiamo cosa dice uno dei più grandi fotografi italiani, Ferdinando Scianna, che ha risposto a questa domanda posta da un gruppo di studenti del SUPSI di Lugano il 21 febbraio 2003.
La mia fotografia è di ascendenza teorica e pratica bressoniana: un gioco dell'istante colto mentre accade, una specie di corrida con il destino.
Il mondo scorre nel caos delle sue implicazioni, e tu fai la scommessa di catturare attraverso la macchina fotografia un istante che abbia senso, sia narrativo che formale. In questo tipo di fotografia - non sto parlando del meditato 'still life' in studio, nel quale puoi calcolare ogni elemento, ogni distanza, ogni equilibrio di luce - ti scontri con continui mutamenti di spazio, di senso, con la luce stessa mentre cambia. Non puoi dire, davanti ad un evento storicamente rimarchevole o anche un piccolo gesto della vita quotidiana: "Sia gentile, lo ripeta nel pomeriggio, perchè quella luce la preferisco". Te la giochi, nel senso che devi saper vedere e sviluppare una maniera di fare di necessità virtù, che è proprio la specificità tecnico-estetica di questo tipo di fotografia.
E' una fotografia che implica una sorta di allenamento, di ammaestramento a cogliere l'istante. Se si tratta di dare, come diceva Cartien-Bresson, una risposta nel momento stesso in cui la domanda ti viene posta, è molto difficile valutare i pro e i contro, fare un'analisi meditata sul tipo di risposta da dare: la dai subito e la dai istintivamente. Ma anche quest'istinto, che preferisco chiamare intuizione, più nobile, forse, dell'istinto puramente animale, si esercita, si allena, si affina.
Una pratica fotografica come la nostra, che giostra con l'istante e si serve dell'intuizione come uno degli strumenti fondamentali, implica una grande quantità di errori, perchè è qualche cosa di molto vicino al gioco psicanalitico: "Io ti dico una parola e tu mi rispondi con la prima cosa che ti viene in mente"; qualche volta dici delle cose che sono rivelatrici; ma nella maggior parte dei casi dici delle stupidaggini.
Così, moltissime di queste risposte sono sbagliate. Una foto sbagliata, diversamente da un disegno, non si può correggere, se ne può fare un'altra, ma quella lì è sbagliata. Si tratta quindi di allenarsi ad avere fortuna, un po' come nella metafora zen del pittore che deve disegnare il più bel granchio che sia mai stato disegnato, per le nozze della figlia dell'imperatore; non può fallire, ne va della sua testa.
Ebbene, lui per un anno vive con i granchi, li guarda. Non fa nessun disegno, però diventa quasi un granchio, si identifica con loro e in un certo senso medita anche sul suo ruolo di pittore che dovrà disegnare un granchio. Nel momento in cui si mette al lavoro, in un solo gesto ne fa uno magnifico.
Il mestiere del fotografo è una cosa di questo tipo: allenarsi a saper rispondere istantaneamente a delle domande che istantaneamente ti vengono poste. Insomma, una preparatissima innocenza.
Ferdinando Scianna
Il testo dell'intervista è tratto dal catalogo della mostra Ferdinando Scianna - Fotografie 1963-2006, edito dalla Fondazione Ragghianti di Lucca.
Altre informazioni sull'autore su www.magnumphotos.com/Scianna.html
grande verità! istinto sì, ma allenato per diventare intuito e guidare il 'caso'.
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