"wearing another dress for you", 2009 |
Il caldo, lo stress e la stanchezza che si fa sentire prima della meritata pausa estiva.
Quale miglior momento per pensare più a fondo alla fotografia?
Mi è capitato recentemente di partecipare ad una lettura portfolio. Non voglio tralasciare il fatto che quasi sempre vincono serie fotografiche di taglio reportagistico/sociale, in luoghi di guerra e situazioni drammatiche o di distruzione. Non voglio tralasciare questo fastidio perché sebbene una qualche crescita e modernizzazione nel genere reportagistico si è anche vista negli ultimi anni, penso che la fotografia non si debba limitare solo a questo e non si debba sempre e per forza adagiare sul già comodamente e collettivamente approvato.
La fotografia concettuale merita uguale dignità e attenzione, anzi forse richiede maggiore attenzione e sforzo di comprensione per la sua natura difficile.
Mi è capitato di portare una serie fotografica concettuale (ma guarda un po'...) alla lettura di qualche critico fotografico.
La difficoltà e fatica nell'indagare si sovrappongono alla difficoltà di un mezzo che usa immagini statiche e che necessita di un grande sforzo di riflessione, ricerca e delicatezza.
Ma si pone come ostacolo anche il lettore, forse poco disposto "a faticare", perché a differenza di un racconto diretto, di impatto come quello di stampo reportagistico, o che usa colori o ritocchi ammiccanti e "di tendenza", qui si richiede un maggiore sforzo, un impegno anche culturale, una predisposizione all'ascolto e alla vera lettura che deve lasciare da parte il pregiudizio e non sopravvalutare il gusto personale per capire il senso di un discorso, e di un percorso, necessariamente molto personali e sottili.
Intrappolare sensazioni e indagare sulla psicologia non è possibile con un linguaggio troppo netto e impetuoso, perché non necessariamente si racconta con le persone e le situazioni della vita, ma usa una diversa grammatica, racconta oggetti anche apparentemente insignificanti, o parla di vita anche senza le persone.
E' una zona di confine, tra percezione e memoria, scoperta e riflessione.
Quanta fatica nel dover spiegare quello che non si dovrebbe e forse non si potrebbe nemmeno spiegare, cedendo inesorabilmente all'illusione che la parola possa aiutare dove già l'immagine con difficoltà riesce a insinuarsi.
Si sommano quindi mille ostacoli, tra cui quello della contaminazione del linguaggio della pubblicità e del "consumo" che ormai anche le più "alte sfere" sembrano aver accolto senza più senso critico e timore.
Perchè parlo di pubblicità? Perché mi sembra di capire che la comunicazione, semplice, diretta, immediata diventi un obiettivo ineludibile. Ma la fotografia artistica deve cedere al messaggio, allo slogan diretto per vendere tipico della pubblicità?
La fotografia che si apre, che si pone in uno spazio intermedio, più indefinito, più rispettoso dell'osservatore, senza imporgli un punto di vista, lasciandogli un margine di movimento, uno spazio di riflessione e anche di autonoma interpretazione... non ha più spazio?
La distanza si può colmare se la si vuole colmare e questa fotografia alla fine non è per tutti, e non pretende nemmeno di esserlo.
La difficoltà di un genere che parte perdente perchè veramente "ribelle", perchè si pone nelle condizioni peggiori, più difficili, più lontane dai gusti e dalle mode del momento, non ammiccante, profondamente personale e sicuramente non ovvio.
Secondo me questa fotografia merita uno sforzo in più da parte di osservatori sempre meno disposti a "scomodarsi" o a pensare autonomamente e liberamente.
Quanta fatica...
Le pubblicita' vogliono qualcosa che sia diretto, che arrivi subito, che sia un impatto forte o leggero, non deve dare tempo di pensare, cos'e'... si deve aver voglia di averlo tangibile tra le mani, lo scopo in effetti e' quello di vendere..la fotografia artistica, ha la pecca di essere per pochi...come il teatro... non ti raggiunge, devi raggiungerlo tu e lasciarti coinvolgere, e hai ragione.. questo per la massa e'.. fatica!
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