photo by David Guttenfelder |
Prima o poi doveva succedere e alla fine è successo.
Il titolo potrebbe far pensare a qualche nuova trovata di marketing della casa di Cupertino, ma qui si tratta proprio di quella guerra, quello spettacolo cruento e atroce che non si osserva certo con piacere.
David Guttenfelder, fotoreporter statunitense di Associated Press, segue i soldati americani in Afghanistan, racconta la loro vita nelle azioni di guerra e nei momenti di relax. Fin qui non sarebbe una notizia, ma lui lo fa con un comunissimo iPhone, utilizzando un'applicazione per trasformare le immagini in vecchie polaroid.
Fino a qui pensavamo che quella piccola lente inserita nel cellulare fosse solo un passatempo, adesso vuol fare sul serio, ma siamo sicuri di essere pronti a un salto del genere?
Quell'obiettivo che fino a poco tempo fa immortalava il gattino che correva, adesso è catapultato a migliaia di miglia di distanza a raccontare l'esperienza più sconvolgente nella vita di una persona.
E' necessario secondo me ripulire il campo, staccare lo strumento dal suo status, da ciò che finora ha rappresentato, altrimenti se lo porterebbe con sé a "contaminare" quello che inquadra e finiremmo per non riuscire più a distinguere. Quelle immagini sono vere, non sono leggere, non basta un ritocco alla moda per renderle "gradevoli", perché non lo saranno mai.
La fotografia del marine in boxer rosa con su scritto "I love New York" mentre da una trincea spara contro i talebani ha fatto il giro del mondo.
C'è tutta la vita al fronte delle truppe, le battaglia ma anche gli uomini che combattono in Afghanistan. La schiena tatuata da una grande aquila, l’aiuto che le popolazioni locali danno all’esercito americano, la preparazione degli zaini di sopravvivenza e l'autoscatto dove il fotografo si ritrae in uno specchio appoggiato ad una parete di fango di una fattoria afgana.
Si percepisce una dimensione più intima del racconto, quasi più diretta e da qui il richiamo delle istantanee non sembra casuale, ma è solo un'impressione dettata dall'iPhone, perché i migliori reporter hanno raccontato la guerra con tutte le loro difficoltà e i loro mezzi, entrandoci dentro e spesso al limite, senza il clamore di una tecnologia "giocosa" che fa notizia.
Forse si avvicina la fine del fotoreporter "tradizionale"?
O forse è semplicemente uno strumento in più per raccontare la guerra?
Faccio un po' fatica ad accettare l'iPhone nelle trincee militari, forse potrei giustificare la mia ostilità per la bassa qualità delle immagini, ma non è quello. Forse per l'insulsa moda del vintage che recupera il fascino delle polaroid, ma non è nemmeno quello. Forse non lo accetto semplicemente perché in fondo in fondo penso che sia solo l'inizio dello sconvolgimento del senso delle cose, che la guerra diventa, o è già diventata, uno spettacolo da mostrare alla stregua di quel gattino che corre ignaro dietro un gomitolo.
photo by David Guttenfelder |
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