"funerale della visione", 2010, Sandro Rafanelli |
Un interessante articolo sul New York Times discute dell'incapacità e la superficialità nell'osservare le opere d'arte.
Il giornalista nota che quasi tutti i visitatori di musei e gallerie si soffermano pochi secondi di fronte alle opere e perdono il poco tempo che gli dedicano scattando frettolose (e aggiungo inutili) fotografie.
Al Louvre, nel Pavillon des Sessions, sono esposte cento opere da tutta Europa e manufatti da luoghi lontani.
Qualche turista cerca invano informazioni nelle guide o spera in qualche etichetta sul muro, come se l'apprendimento di queste sculture, provenienti da Papua Nuova Guinea, Hawaii o dall'arcipelago di Santa Cruz, o un lavoro fatto tre o quattro secoli fa, potesse aiutarli a vedere quello che c'è, chiaro come il sole, appena di fronte a loro.
Nessuno, nel giro di due ore, si è fermato per un intero minuto davanti a qualsiasi oggetto. Solo una scultura in legno del XVII secolo di una coppia di amanti che copulano, da San Cristobal nelle Isole Salomone, collocata vicino all'uscita, ha suscitato sorrisi e qualche foto, ma senza veramente riuscire a spezzare l'andatura veloce.
Verrebbe da porsi una domanda quasi elementare, cioè a cose serve vedere un museo?
Se serve a sentirsi "riempiti" di cultura, occorre chiedersi a questo punto come ci si riempie. Perché per accrescere conoscenza occorre l'esperienza e la percezione; la lettura delle opere di un museo deve rientrare in un percorso personale di comprensione e acquisizione lenta e progressiva.
Fotografare un'opera d'arte non è criticabile di per sé, anzi, può essere un buon modo per indagarla, ma la foto ricordo è un bel modo per sostituire il guardare col guardarsi.
Visitare musei è sempre stata una pratica di "auto-miglioramento". In parte ci andiamo per trovare qualcosa che è già riconosciuta, qualcosa che fornisce una guida o un orientamento: si pensi alla folla di turisti raccolti intorno alla Gioconda. Un tempo un elevato livello di istruzione occidentale indicava la lettura di forse 100 libri, però tutti "letti da vicino". Oggi abbiamo letto centinaia di libri, o forse nessuno, ma raramente con la stessa intensità.
I viaggiatori che facevano il Grand Tour in tutta Europa durante il XVIII secolo, trascorrevano mesi o anni per imparare le lingue, incontrare politici, filosofi e artisti e usavano quaderni di schizzi in cui disegnare e dipingere, per registrare i loro ricordi e come ausilio a vedere meglio.
Un oceano di stimoli. Così i turisti vagano attraverso i musei, cercando di soddisfare il loro desiderio di conoscenza della storia dell'arte in un giorno, chiedendosi se possa essere la quantità di materiale che adocchiano piuttosto che la qualità della concentrazione che portano verso quelle poche cose su cui hanno scelto di focalizzarsi, che determina se hanno "fatto" il Louvre. Si tratta di "auto-miglioramento" al volo.
Museo del Louvre |
Merita dunque una riflessione cercare di sfuggire da un approccio impoverito nell'osservare.
A volte conviene mettere da parte la macchina fotografica e godersi ciò che abbiamo davanti agli occhi, per renderci più disposti alla meraviglia e alla scoperta, non necessariamente da intrappolare nel digitale ma nell'analogica connessione della nostra immaginazione e ispirazione.
Non è un processo descrivibile con semplicità o forse non è nemmeno descrivibile, per cui è più comodo descrivere cos'è dunque la superficialità. La storia di un'opera d'arte fa parte della sua stessa bellezza ed spesso nasconde la chiave per comprenderla. Vedere significa quindi aprirsi, instaurare un rapporto, quasi personale, intimo. La macchina fotografica presuppone già una fruizione altra da noi, che annienta questo dialogo che dovrebbe appunto non essere mediato.
Forse è più utile un taccuino, come facevano i vecchi viaggiatori del Grand Tour, perché ci aiuta a guardare con lentezza e ci fa scoprire dettagli e soluzioni sui cui spesso passiamo veloci.
Gli artisti per fortuna ci ricordano che non c'è in realtà un unico modo corretto di guardare un'opera d'arte, salvo che farlo con una mente aperta e paziente. Se siete andati in un museo con un buon artista probabilmente avrete scoperto che non si preoccupava tanto di quello che i libri di storia dell'arte o le etichette alle pareti gli dicono sia giusto o sbagliato notare, perché gli artisti sono consumatori egoisti, liberi di guardare seguendo i propri interessi.
Consiglio di leggere l'articolo su NYT, dal quale ho tradotto alcuni passi in italiano e su cui ho integrato mie riflessioni.
Mi sono chiesta tante volte come la gente si approcciasse alle opere nei musei. A mio parere il rapporto con l'opera d'arte e l'emozione che suscita è legato al momento e talvolta racchiuderlo in una foto fa perdere all'opera stessa l'emozione che vuole suscitare.Ad ogni modo riconosco che la superficialità spesso ci fa perdere il vero significato di un'opera che invece dovrebbe arrivare in modo preciso e forse inequivocabile.Credo ci sia sempre e in tutte le cose, bisogno di andare a fondo. E di guardare oltre.
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